Ecco cosa un datore di lavoro deve sapere sul burnout
La cosiddetta sindrome da burnout non è ampiamente diffusa solo in Svizzera, ma anche in molti altri Paesi europei. Negli ultimi anni il numero di persone che soffre di questa patologia è costantemente cresciuto e questa tendenza è tuttora in atto. Oltre all’immenso onere psichico, fisico e finanziario che grava sulla persona direttamente colpita, questa malattia ha delle ripercussioni anche economiche sulle aziende e sulla nostra società. Perché con le assenze per malattia e la diminuzione delle prestazioni delle persone che ne sono affette, i costi aziendali aumentano e la produttività diminuisce.
Ti mostriamo cosa poter fare in qualità di datore di lavoro per prevenire i casi di burnout dei tuoi collaboratori e quali conseguenze giuridiche questa malattia comporta.
In veste di datore di lavoro cosa posso o devo intraprendere se un collaboratore si rivolge a me lamentando un carico di lavoro elevato?
Non appena una collaboratrice o un collaboratore ti contatta direttamente o tu vieni a sapere per altre vie di un perdurante carico di lavoro eccessivo, dovresti reagire il più rapidamente possibile e in maniera adeguata. Perché il tuo ruolo ti impone di adempiere l’obbligo di assistenza e di non trascurare la salute dei tuoi collaboratori. A tutela della salute e dell’integrità personale devi adottare le misure necessarie e appropriate per contrastare il sovraccarico dei dipendenti. Occorre valutare caso per caso quali misure vadano adottate. Potresti ad esempio procedere come segue:
- Disporre un accertamento da parte di un medico specialista in medicina del lavoro (ad es. presso la Suva)
- Creare un servizio interno, specializzato
- Adeguare il grado di occupazione o suggerire alla persona interessata di usufruire di ferie non pagate (purché essa si dichiari d’accordo con tale provvedimento)
- Aumentare le risorse in termini di personale
- Adeguare le procedure interne e ridistribuire gli ambiti di competenza
- Adottare misure specifiche, in base al singolo caso e di comune accordo con la persona affetta dalla patologia
Non è facile individuare per tempo i segnali di un burnout incipiente. Trovi qui ulteriori informazioni con una check-list per superiori in merito a questo argomento.
Si può essere chiamati a rispondere del burnout di un collaboratore?
Sì, in teoria è possibile che il datore di lavoro venga citato in giudizio e obbligato a corrispondere un importo a titolo di risarcimento danni o riparazione morale. Affinché tali richieste possano essere soddisfatte, occorre tuttavia dimostrare una violazione dell’obbligo di assistenza da parte tua, il che presuppone che fossi a conoscenza delle circostanze che hanno portato all’insorgere della patologia. Ciò significa che se nessuno ti ha informato della situazione di rischio di cui non potevi essere a conoscenza in nessun altro modo, non può esserti imputata la violazione di alcun obbligo. In altre parole,
- la persona interessata deve informarti attivamente della situazione di sovraccarico
- non sarebbe stato possibile in nessun altro modo riconoscerne i segnali, come ad esempio riscontrando delle assenze ripetute per malattia
- non hai ottemperato al tuo obbligo di intervento e accertamento.
Sebbene il numero delle persone interessate da questa patologia sia in costante aumento, sinora non sono mai state intentate azioni legali per la violazione dell’obbligo di assistenza in caso di burnout. Questo soprattutto perché le persone colpite devono poter dimostrare le cause del loro malessere e nel caso di una violazione dell’obbligo di assistenza la procedura è spesso molto onerosa e complicata.
I datori di lavoro dovrebbero in ogni caso prendere sul serio le segnalazioni di un dipendente e individuare assieme alla persona interessata delle soluzioni rapidamente attuabili. Perché con un appropriato management della salute è possibile evitare eventuali risarcimenti danni, un calo di produttività, assenze dovute a malattia e riduzioni di performance lavorativa.
Provvedi inoltre a documentare approfonditamente i casi e le misure adottate in modo da poter dimostrare, se necessario, di aver adempiuto il tuo obbligo di assistenza applicando determinati provvedimenti.
Cosa accade a seguito di una disdetta in caso di sindrome di burnout?
In riferimento alle patologie da burnout valgono in linea di principio le stesse prescrizioni e premesse valide per qualsiasi altra malattia. Quindi se ha intenzione di disdire il rapporto di lavoro con la collaboratrice o il collaboratore colpiti dalla patologia, allo scadere del periodo di prova dovrai tenere conto del periodo di blocco. Quest’ultimo ammonta a 30 giorni nel primo anno di servizio mentre, a partire dal secondo fino al quinto anno di servizio compreso, è di 90 giorni e a decorrere dal sesto anno di servizio la proroga è possibile fino a un massimo di 180 giorni. Se la disdetta viene pronunciata durante il periodo di blocco, risulterà nulla e il procedimento dovrà essere ripetuto allo scadere di detto periodo. Se invece la disdetta viene pronunciata allo scadere del periodo di blocco sarà ritenuta giuridicamente valida.
A chi spetta pagare il salario se un collaboratore è affetto da burnout?
Anche in questo caso, come per qualsiasi altra malattia, valgono le disposizioni per la continuazione del pagamento del salario. Ciò significa che sarà applicato l’art. 324a cpv 1 CO, se non altrimenti convenuto e in assenza di un’assicurazione di indennità giornaliera in caso di malattia. In questo caso dovrai garantire la continuazione del pagamento del salario al 100% per un tempo limitato. Ciò presuppone che il rapporto di lavoro era stato avviato oltre tre mesi prima dell’insorgere della malattia. La «durata limitata» viene determinata in base al numero degli anni di impiego. Nel primo anno di impiego, ad esempio l’obbligo di continuare a pagare il salario dura tre settimane. Per gli anni di impiego successivi si applicano le scale sviluppate dalla dottrina e dalla giurisprudenza, che variano da regione a regione (scala di Berna, di Zurigo e di Basilea). Se necessario, rivolgiti alla tua assicurazione di protezione giuridica o al tribunale competente per sapere cosa prevedono le scale in questo caso.
Se hai stipulato un’assicurazione di indennità giornaliera in caso di malattia, la continuazione del pagamento del salario è regolata diversamente; l’importante è che la prestazione garantita al tuo collaboratore tramite l’assicurazione di indennità giornaliera in caso di malattia sia equiparabile a quella offerta a chi non beneficia di tale copertura. Uno scenario del genere si configura con i seguenti presupposti:
- continuazione del pagamento del salario all’80% per 720 giorni nell’arco di 900 giorni consecutivi
- almeno il 50% del premio viene versato dal datore di lavoro
- Termine d’attesa massimo di 3 giorni, ovvero giorni senza continuazione del pagamento del salario all’inizio di ciascuna fase di malattia (il termine d’attesa fino alla concessione delle prestazioni assicurative può essere strutturato in modo differente, in quanto il datore di lavoro in questo periodo è obbligato a continuare a pagare il salario. Di solito, viene concordato un termine d’attesa di 30, 60 o 90 giorni)
Allo scadere del termine d’attesa, la continuazione del pagamento del salario è garantita dall’assicurazione di indennità giornaliera in caso di malattia per la durata e l’importo stabiliti.